Fin dalla prima media si impara a perfezionare il metodo per
creare testi.
Gli alunni di terza
stanno imparando a scrivere un buon testo autobiografico raccontando o cercando
di trasmettere le emozioni in un preciso momento.
Vi propongo il testo di Francesca,
studente di 3^ D.
Sento
ancora i brividi di paura avvolgermi nel ripensare a quella sera, di due mesi
fa.
“Francesca,
è ora di andare a catechismo” mi stava ricordando la mamma.
Mancavano
cinque minuti alle 20.00.
Corsi in
bagno, mi pettinai i capelli, mi lavai il viso e mi vestii.
Guardando
fuori dalle finestre vedevo solo buio.
Un buio che
sembrava infinito.
Un buio
freddo, illuminato qua e là dalle luci fioche dei lampioni del paese.
Vivo in una
casa ai piedi della montagna e per l’oratorio avrei dovuto percorrere come al
solito la scaletta, che scende verso la piazza del paese, lungo la quale si
affacciano i cani delle case dei vicini che, con il loro abbaiare, ti riescono
a terrorizzare.
Accesi la
torcia del telefono.
Illuminai
la scaletta e corsi, corsi più che potevo.
Il papà mi
aveva promesso che mi avrebbe osservato dal giardino.
All’ improvviso mi ritrovai di fronte all’ oratorio!
Credevo che
il peggio fosse passato, ma non sapevo che qualcosa doveva ancora accadere.
Andai a
catechismo, trascorsi serenamente la serata con le mie amiche.
Il
campanile della chiesa suonò le 21.00.
Noi ragazzi
uscimmo dall’ oratorio e aspettammo i nostri genitori venirci a prendere.
“Franci mi
puoi aspettare che fra poco arriva mia mamma?” mi chiese Emma.
“Certo, per
me non è un problema” le risposi.
Mamma mi
aveva detto che, terminato catechismo, avrei dovuto chiamare casa.
Abito
vicino e papà mi sarebbe venuto incontro a piedi.
Io e Emma
rimanemmo per qualche minuto sul piazzale della chiesa.
Poco dopo
arrivò sua mamma in macchina.
Chiamai
papà.
“Indosso la
giacca e le scarpe e vengo da te” mi disse al telefono.
“Inizia ad
incamminarti”.
Non avevo
altra scelta.
Emma stava
andando a casa e sarei rimasta da sola.
Mi diressi
verso il lavatoio che si trova nella piazza centrale del paese per poi proseguire
lungo la scaletta che conduce a casa mia.
Vidi
improvvisamente tre uomini muoversi verso il lavatoio contemporaneamente.
Sembrava
volessero venire verso di me e seguire i miei passi.
Uno dei tre
indossava una giacca rossa con un cappuccio di pelliccia che copriva il capo e
al guinzaglio teneva un cane.
L’ avevo
intravisto mentre parlavo con Emma, ma non gli avevo dato importanza.
Sembrava
facesse passeggiare il suo cane nel piccolo giardino attorno al lavatoio del
paese.
Degli altri
due non ricordo l’aspetto fisico.
Indossavano
abiti scuri e camminavano nella penombra lasciata dall’uomo “con la giacca
rossa”.
“Vuoi che
ti aspetti?” mi urlò Emma dal finestrino dell’auto.
Sentii i
cani abbaiare.
Ciò
significava che papà stava scendendo dalla scaletta.
“No, grazie”
risposi.
“Non
preoccuparti”.
Mi fermai.
I tre
uomini si fermarono.
Li guardai.
Mi
fissavano.
Il loro
sguardo non mi abbandonava.
Ne sono
convinta.
Mi immaginai
subito la scena in cui io scappavo urlando in cerca di aiuto e loro mi
rincorrevano.
Corsi
affannosamente verso casa, salii la scaletta, guardandomi alle spalle per
vedere la direzione in cui andavano o se mi stessero inseguendo.
I cani
iniziarono ad abbaiare senza smettere.
Andai a
sbattere contro una persona.
Gli puntai
la luce della torcia in faccia.
Era papà.
Lo
abbracciai forte e insieme tornammo a casa.
“Mamma,
mamma. Giù, al lavatoio” le dissi preoccupata.
“Stavo per
venire verso casa, mi hanno vista e subito si sono incamminati verso di me”.
“Chi?” mi
chiese spaventata.
“Tre uomini”.
Ripresi
fiato.
Spiegai
cosa era successo.
Mamma e
papà mi dissero che avrei dovuto telefonare prima di lasciare l’oratorio.
“Stai
tranquilla. Quella zona viene usata per fare la passeggiata serale con i cani”
mi rassicurò papà.
“Alle
21:15?” chiesi.
“Sì…può
darsi” aggiunse.
Nonostante
siano trascorsi ormai due mesi, ogni sera prima di addormentarmi, ripenso all’
accaduto e cerco di trovare una spiegazione razionale.
Sento ancora i loro sguardi puntati su di me.
Non voglio
apparire ridicola, ma forse sono condizionata dai fatti di cronaca.
L’unica
soluzione è riporre fiducia nelle prole rassicuranti dei genitori ed essere
meno emotiva.